Quella che sto per leggervi è una conversazione intima, una riflessione che nasce da un’esperienza personale ma che parla di qualcosa che riguarda ognuno di noi: il rapporto con la morte, con l’assenza, con la perdita e con ciò che resta.
Ho le tue ceneri qui, in questa piccola urna di legno. Al tempo ho pensato fosse giusto tenerle con me.
Ho anche una metà del cuore d’acciaio sul quale è inciso il codice che certifica la cremazione: H6213.
Non ho molto altro di tuo. Solo qualche foto in un album e un burattino di legno che mi hai regalato anni fa.
La sua immobilità un po’ ti appartiene, ed è per questo che spesso lo osservo.
Anche lui è morto, come lo sei tu.
Ti somiglia.
È stato proprio guardando quel burattino che ho pensato di scrivere questo testo.
Anche se non ci sei più, io posso ancora sentirti.
E a volte, mi sembra di poterti addirittura vedere.
Forse è solo immaginazione.
Forse, invece, sei rimasto, nascosto nelle crepe del tempo che abbiamo mancato.
Io ho vissuto la tua morte per tutta la vita.
E ho subito la tua assenza per tutta la vita.
Per anni è stata uno spazio abitato dall’eco di ciò che avrebbe potuto essere.
Ma può davvero esistere l’assenza, in mancanza di presenza? Non lo so.
È accaduto il 22 giugno.
Non ho sofferto. Non troppo.
Non so disperarmi davanti alla morte, è ciò che accomuna ogni essere umano.
È solo la fine di un viaggio. E l’inizio di un altro. Mi piace vederla così.
Non l’ho mai confessato, ma la tua, di morte, per me è stata un dono.
Perché da quando non ci sei più, sei diventato onnipresente.
Ti ho forse vissuto al contrario?
Me lo chiedo spesso.
Sei venuto al mondo con il sole e te ne sei andato con il sole.
Un paradosso, dato che in vita non sei stato altro che pioggia.
La morte ti ha concesso la luce che da vivo non sei mai riuscito a trovare.
O forse che avevi, e non hai saputo accendere.
Vita e assenza, morte e presenza.
Vita e pioggia, morte e luce.
Ho la risposta: non sono io che ti ho vissuto al contrario.
Sei tu che non mi hai dato scelta.
Credo che la tua morte non sia stata un dono soltanto per me.
È stata un dono anche per te, che in fondo l’aspettavi da sempre.
E mi chiedo come dev’essere guardare alla morte non come privazione della vita,
ma come una liberazione dalla stessa, quando la vita la subisci come facevi tu.
Mi chiedo come dev’essere subire il peso dell’esistenza e attendere la fine
solo per potersi sentire più leggeri.
Solo per avere una tregua.
in ogni caso, lo considero umano.
Anche se non ci sei più, io posso ancora sentirti.
E posso ancora vederti.
Ti ritrovo in quel burattino immobile, in una foto sbiadita,
e nelle crepe di un tempo che non abbiamo vissuto abbastanza.
Rifletti sulla tua relazione con la memoria e la perdita, partecipa a questo dialogo intimo, scopri la tua connessione con ciò che non c'è più.