Il grande artista norvegese Munch annotò nel suo diario che sin dalla nascita gli angeli dell’angoscia, del dolore e della morte erano stati al suo fianco anche sotto il sole di primavera e d’estate, ma soprattutto si ripresentavano minacciosamente e incessantemente ogni sera, a risvegliare in lui e in genere negli uomini, il terrore del buio e della fine.
La paura principale legata alla morte non è tanto la cessazione della vita in sé, quanto l'oblio che ne consegue, la cancellazione della propria storia e identità. La morte, pur essendo una certezza, si manifesta in modo inaspettato, generando un senso di mistero e precarietà. Il ricordo delle relazioni vissute diviene quindi un baluardo contro questa paura.
Storicamente, la reazione al timore dell'oblio e a questa insostenibile sensazione di distacco, vuoto e sradicamento generata dall’abbandono della vita terrena ha comportato in certi periodi storici del passato un culto dei morti particolare ed eccessivo, incoraggiato anziché contrastato dalla Chiesa. Mi riferisco al culto dei morti intesi come corpi fisici. Il culto quindi non solo delle anime ma anche dei cadaveri, come un estremo disperato tentativo di perpetuare, a fianco del ricordo spirituale del defunto, anche il suo ricordo terreno. Un culto macabro del passato di cui le nostre città conservano ancora molti esempi, lontano dalla nostra attuale visione della morte, ma le cui motivazioni possono essere sempre ricondotte a quella insopprimibile esigenza dell’uomo di conservare oltre la morte quelle identità personali che contrastino lo sradicamento e l’oblio.
L'esperienza del lutto personale, descritta attraverso la registrazione audio, evidenzia il tentativo di "sfidare" la morte attraverso gesti simbolici e il potere del ricordo. Attraverso la memoria, figure care scomparse continuano a vivere nelle nostre menti e nei nostri cuori, contrastando l'annullamento definitivo.
L'esistenza umana è caratterizzata dalla sua finitezza, ma la memoria e l'impatto che lasciamo nel mondo ci permettono di trascendere i limiti temporali. La vera sfida alla morte consiste nel vivere pienamente e nel coltivare i legami affettivi, affinché la nostra presenza continui a risuonare anche dopo la nostra scomparsa. Nonostante l'ineluttabilità della fine, la nostra essenza non appartiene completamente alla morte.
La Morte come distacco definitivo dalla vita terrena, certa nell’AN ma non nel QUANDO, induce in ognuno di noi un forte senso di mistero sul trascorrere del tempo e sulla imprevedibilità delle nostre esistenze.
La riflessione sulla morte spesso si intreccia con l'esperienza personale del lutto. Il testo scritto e registrato in sottofondo al video proiettato all’interno della performance esplora questo tema attraverso la personificazione della morte in diverse figure, tra cui la "Sconosciuta della Senna", il cui sorriso immortalato da una maschera funeraria realizzata negli ultimi anni del XIX secolo a Parigi contrasta con la sua condizione di anonimato e pone l'interrogativo di cosa permane di un individuo dopo la sua scomparsa.
Inoltre, il ricordo del momento del distacco dalle vite dei nostri cari e di altre persone che hanno avuto comunque rapporti personali con noi, non può rivivere se non “filtrato” dal ricordo completo e profondo di tali rapporti e soprattutto dal tempo trascorso durante tali rapporti.
La morte non rappresenta necessariamente la fine. Ciò che resta sono i dettagli: memorie, emozioni, l'eco di una voce. Il ricordo dei legami affettivi quindi assume un ruolo cruciale nell'elaborazione del lutto e nella mitigazione della paura della fine.

