È prima di ogni altra cosa uno spazio di conquista del e per il pensiero: lo spazio della ricerca artistica è libero, senza steccati disciplinari e aperto alla contaminazione. Credo che la pratica, all’interno di una ricerca artistica, sia il territorio in cui l’intuizione può diventare una forma di conoscenza al pari delle altre che contraddistinguono la prassi accademica. Intendo l’intuizione come
una forma di dispersione del pensiero che, nella pratica, crea cortocircuiti spazio-temporali capaci di generare inattese e fertili collisioni tra elementi eterogenei, tra livelli di significato apparentemente distanti, condensati, di volta in volta, nella pratica stessa, negli incontri che induce e produce. Lo spazio latente, a mio dire, è proprio questo: uno spazio che obbedisce alla
legge dell’analisi, dell’attenzione fluttuante, che fa dell’intuizione – come dispersione – il suo principio. Seguendo questo principio la mia ricerca non
può più essere solo mia perché entra naturalmente in risonanza con uno
spazio collettivo – non per forza presente, non per forza attuale – che è
aperto alla virtualità dei possibili e si determina come spazio comune – non
gerarchico – in cui la soggettività si scioglie nell’anonimato e
nell’indeterminato.