1. Cosa intendiamo oggi per spazio della ricerca artistica?
Lo spazio della ricerca artistica è un territorio fluido, che supera le rigidità disciplinari per abbracciare approcci ibridi e transmediali. Nel mio caso, la ricerca archivistica si intreccia con la creazione di nuovi dispositivi narrativi come il podcast o la produzione audiovisiva, trasformando l'atto del raccogliere dati in un processo creativo. Lo spazio della ricerca non è solo luogo di conservazione, ma di interpretazione critica, capace di generare nuove forme di esperienza e conoscenza condivisa.
2. In che modo, all’interno della pratica, emergono territori o forme di conoscenza che sfuggono alla prassi accademica?
Attraverso le interviste, l’ascolto delle storie personali, e l'analisi di documenti non sempre sistematici o ufficiali, emergono forme di conoscenza che non si lasciano facilmente tradurre in categorie accademiche. La memoria orale, le emozioni, i racconti disordinati degli intervistati restituiscono una dimensione diagonale – professionale e allo stesso tempo affettiva – che arricchisce e complica la narrazione tradizionale. In questo modo, la mia pratica si apre a una conoscenza fluida, frammentaria, ma estremamente viva.
4. In che modo la ricerca entra in dialogo con intelligenze collettive e ambienti condivisi in continua trasformazione?
La mia ricerca si basa proprio sulla costruzione di un'intelligenza collettiva: ogni intervista, ogni documento condiviso, ogni indicazione di nuovi interlocutori da interrogare contribuisce a creare una mappa corale della memoria e dell'attività di Paolo Rosa. Attraverso l'interazione con collaboratori, allievi, colleghi e familiari, si attiva un processo di conoscenza dinamico, in cui ogni voce è un tassello che arricchisce e complica la visione d'insieme, modificando di volta in volta la direzione stessa della ricerca.
3. La nozione di spazio latente – intesa come luogo dell’indeterminato, del possibile, dell’invisibile in attesa di manifestazione – ha per te una rilevanza?
Nella mia pratica, lo spazio latente si manifesta come l'insieme delle tracce, delle memorie e delle potenzialità ancora inespresse racchiuse nei documenti d'archivio e nelle testimonianze orali: materiali che aspettano di essere interrogati, riassemblati, attivati. Lavorare con materiali frammentari e ricordi soggettivi mi permette di accedere a un campo poetico fatto di emozioni, omissioni e intuizioni. In questo senso, lo spazio latente diventa creativo: è il luogo dove il passato non è fisso, ma si apre a nuove narrazioni, permettendomi di ricostruire la figura di Paolo Rosa come un racconto vivo e in divenire.