La nozione di spazio latente - intesa come luogo dell'indeterminato, del possibile, dell'invisibile in attesa di manifestazione - ha per te una rilevanza?
Credo che ci siano due approcci al quotidiano: migliorare ciò che già esiste - ovvero lavorare sullo spazio "occupato" - oppure dedicarsi a qualcosa di nuovo, ed è qui che entra in campo il concetto di spazio latente. Per nuovo intendo lavorare su qualcosa che allo stato attuale giace in attesa. Entrambi gli approcci dovrebbero partire dall'esigenza di risolvere problemi esistenti, a prescindere che ci sia già una manifestazione del problema o meno.
Il problema stesso è una manifestazione del concetto di spazio latente: quando si manifesta è perchè ha raggiunto un livello di urgenza tale da non poter più essere ignorato mentre - tutto il periodo che precede la sua manifestazione - quel problema già esiste nello spazio latente ma resta nell'indeterminato. Questo significa che possiamo vedere gli interstizi come luoghi di opportunità, anche per risolvere problemi prima che questi si manifestino.
Per me un ottimo esempio di spazio latente è quell'area di una città che appare in tutta la sua trascuratezza dopo l'abbandono dell'attività umana. Ad esempio le ex fabbriche abbandonate e date in pasto a una natura che anno dopo anno sta scardinando il costruito in favore di nuove forme di vita, sono un esempio perfetto di spazio in attesa di tornare ad essere qualcosa. Oggi sono interstizi tra le attività di una città, domani saranno nuove attività e magari le attività precedenti saranno prospere o rilegate esse stesse a una dimensione interstiziale.
Cosa intendiamo per spazio della ricerca artistica?
La ricerca artistica dovrebbe essere al servizio dell'uomo e di conseguenza migliorare lo spazio in cui questo vive. Da sempre si intende l'arte come qualcosa di contemplativo dove l'individuo è spettatore e non co-protagonista. Sono pochi gli artisti che hanno visto nell'arte un progetto partecipativo. Ad esempio Christo e Jean-Claude, nel 2016, hanno ideato The Floating Piers e consentito ai fruitori di essere co-protagonisti dell'opera stessa camminando sulle acque del Lago d'Iseo. La ricerca artistica dovrebbe collocarsi nello spazio e lavorare per lo spazio partendo proprio dalle città e in particolare dalle periferie, spesso squallidi dormitori in cui non è possibile accedere a una qualità della vita dignitosa.
Solo la bellezza produce bellezza. Solo se lo spazio è curato in ogni dettaglio si può accedere a un più alto livello di creatività.
In che modo, all'interno della pratica, emergono territori o forme di conoscenza che sfuggono alla prassi accademica?
Per la mia esperienza spesso il mondo accademico resta scollegato dalle esigenze pratiche della vita quotidana. Produce lavori e studi meravigliosi anche di altissimo livello culturale, ma che non hanno un impatto pratico nel reale in tempi ragionevoli. Forse potrebbero anche averlo in futuro, ma quegli stessi argomenti potrebbero essere ormai diventati obsoleti quando saranno tradotti nel linguaggio comune.
Con questo voglio dire che chi vive una specifica situazione acquisisce una profonda comprensione del contesto locale e delle sue dinamiche, sia delle sue necessità sia delle sue potenzialità. Questo spesso è situazionale e difficilmente riconducibile a un modello astratto.
Del resto un limite del ragionare su un modello astratto è che questo non è mai presente nel contesto reale in purezza: il contesto reale è più spesso l'insieme di un certo numero di modelli che si intersecano tra loro. Se applico questo concetto al mondo delle città penso ancora una volta a quelle ex fabbriche abbandonate, talvolta utilizzati solo dalla natura per riprodursi, talvolta usati spontaneaente e informalmente dalle comunità o dai privati cittadini.
Ad esempio ho visto un interessante documentario con la professoressa Ada Ghinato intitolato "La riappropriazione della città" che faceva vedere un uomo che si impossessava di uno spazio pubblico abbandonato per necessità seguendo solo regole di auto-organizzazione e partiva proprio da recintarlo, ovvero da delimitarne il confine di una proprietà "di fatto". A proposito, visto che il documentario parlava di un'Italia anni 70 sarei curiosa di sapere se alla fine è diventato suo grazie all'usocapione... XD